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Intervista: Fabrizio Saiu e la risonanza dello spazio
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di avere davanti a te un bambino, spiegagli di cosa ti occupi.
insegno musica, fotografo, faccio dei video, quando posso seguo concerti,
ascolto musica e visito le mostre. Tutte queste attività costituiscono una
parte fondamentale della mia vita. Da qualche anno sono interessato ai legami
tra musica e altre attività come scrivere, ascoltare, spostare oggetti,
correre, cadere o stare fermi, parlare, cantare e passeggiare. In 22 days here, una sound-performance che
ho realizzato nel 2012, si possono sentire i suoni prodotti da tantissime azioni
differenti, compiute in solitudine o in gruppo: avevo programmato ogni singola
registrazione e in base all’ora, al giorno e al luogo scelti, accendevo il
registratore, che portavo sempre con me, e registravo quanto accadeva. Per
alcuni giorni avevo deciso anche quale tipo di azione dovevo compiere durante
la registrazione: la ricerca di un testo inesistente o l’ascolto di una
conferenza di filosofia. É stato un modo per fare un omaggio a John Cage per il
centenario dalla sua nascita. É stato divertente.
tua carriera artistica è cominciata quando hai scoperto la batteria…
passione per la musica, questa è nata intorno agli anni 95/96 quando da bambino
seguivo mio padre nei suoi concerti fino a quando non ho incanalato questa
passione nello studio della batteria, intorno al 99. Seguire mio padre fu
certamente un insegnamento grandissimo, ero piccolo e vivevo quelle serate di
musica nel modo più avvincente possibile. Stavo sempre attaccato ai fonici e a
tutti i musicisti del gruppo, soprattutto al batterista che assistevo
meticolosamente nel montaggio e nella microfonazione della batteria e durante
il soundcheck. Poi arrivava il concerto e lì assistevo con grande attenzione e
partecipazione. Il mio primo insegnante è stato Emanuele Murroni, un percussionista di formazione classica molto
attento anche alla musica pop e latina, al jazz e alla fusion e mi ha trasmesso
l’attenzione per le caratteristiche timbriche del suono e per l’improvvisazione
musicale. Parallelamente ai suoi insegnamenti suonavo con mio padre in trio. Fu
anche quello un periodo di grande formazione, una sorta di laboratorio di
composizione e improvvisazione rock-jazz. Il primo vero lavoro è arrivato nel 2006
quando ho collaborato all’incisione del primo disco di Francesco Saiu e Pietro Ballestrero con Achille Succi al clarinetto
basso e Aya Shimura al violoncello; ho iniziato poi a lavorare come concertista
e come insegnante a tempo pieno.

un certo punto però la batteria non era più sufficiente e hai iniziato a
cercare “rumori” (correggimi se sbaglio), per ampliare la gamma di suoni
utilizzabili..
l’influenza di mio fratello a cui devo molto, e iniziai così la mia
frequentazione dei seminari estivi di Nuoro Jazz e Sant’anna Arresi Jazz, dove
incontrai musicisti che suonavano la batteria utilizzando dei metalli disposti
sui tamburi, piatti forati o parzialmente tagliati per ottenere suoni
particolari. Tra questi, Andrea Ruggeri
fu un esempio chiaro e lampante. Cominciai anche io a lavorare sul suono in
quei modi. Nel 2004, l’incontro con Roberto
Dani mi traghettò, in maniera direi definitiva, verso una sconvolgente
concezione del suono, basata non sulla mera modificazione degli strumenti del
set mediante sovrapposizioni di oggetti, o veri e propri interventi sulla loro
materia fisica, bensì attraverso una profonda attenzione al movimento del corpo, alla gestualità corporea, e alle
modalità di contatto tra il corpo e lo strumento, coniugata con una concezione del suono come processo
compositivo/improvvisativo in costante movimento. Questa visione
assolutamente sconosciuta alla didattica della batteria, di stampo
prevalentemente americano, se adottata è capace di smontare l’intera concezione
dello strumento e insieme l’intera concezione del suono e del fare musica, in
solo come in gruppo. Ciò significa far saltare in aria la batteria per starci
dentro in un altro modo o sacrificarla definitivamente; in questo modo ebbe
inizio la mia ricerca –maniacale- sulla struttura dello strumento e, dopo molti
tentativi (alcuni buoni altri meno), la sua/mia graduale sacrificazione.
tuo percorso ti ha portato a diventare un artista performativo a tutto tondo,
in cui la musica è sì presente, ma non è più l’unico strumento che utilizzi per
esprimerti (il concerto classico con chitarra, basso, batteria per intenderci,
non è ciò di cui ti occupi oggi)
potevo fare, né più né meno.
l’idea di tornare a suonare la batteria in un gruppo o in solo. Ci ho provato,
anche con piacere, ma le cose non sono andate avanti. É una strada che mi appartiene, ma che non percorro più nello stesso
modo, mentre l’’insegnamento della batteria mi appassiona moltissimo.
Insegno a suonare la batteria ma contemporaneamente cerco costantemente altro; davanti
alla batteria vedo altro. Proprio questo “altro”, che è già nella batteria,
diviene materia fertilissima per la didattica, per la relazione con gli
allievi, e stabilisce molteplici connessioni con altre pratiche (di qualsiasi
genere, non solo artistiche).
tuo primo progetto in questo senso?
collaborazione con Paolo Asaro,
fissavo il primo passo disperato e liberatorio verso una concezione del suono
assoggettata al movimento, provocato a sua volta dallo spazio nel quale agivo
(e che, a rigore di concetto, mi agiva).
C’era in questo tentativo, in questo salto, tutto un discorso del negativo, una
dialettica della sottrazione che operava all’interno del processo di produzione
del suono, una riduzione ai minimi termini dei fattori che concorrono alla
generazione del suono: il corpo, lo spazio e alcune materie (una lastra, due
martelli, due spatole, due stecche di acciaio, una cazzuola). Il
suono, risonanza dello spazio, non era più inteso come suono dell’oggetto,
dello strumento, ma dello spazio per l’appunto che era in qualche modo
una dimensione totalizzante non divisibile in parti, in perenne movimento e collisione
con se stesso, una centrifuga.
of Tree
è una composizione di John Cage del
75 che intreccia l’alea all’improvvisazione e si concentra su tre concetti
fondamentali: struttura, durata, e strumento. Non posso entrare nel dettaglio
di come queste tre dimensioni siano trattate dal compositore, ma posso dire che
è su queste che ho lavorato, in modo critico, per la performance Getting Through “Child of Tree”,
letteralmente Attraversando Child of
Tree. Il risultato è una performance
collettiva basata sulla relazione (a un tempo contatto e distanza) tra la
pratica di lancio del frisbee e la pratica rituale della processione, intese
come due modalità di vivere e agire lo spazio, ma anche come due modalità di
confrontarsi con la meta, col punto di arrivo, con la fine di un percorso.
GTCOT può essere performata in qualsiasi spazio organizzato in un percorso avente
un inizio e una meta. Nella fase iniziale il percorso ha un carattere
“pedagogico” – in questa illustro alle persone come suonare i piatti durante la
processione, come lanciare il frisbee, come registrare e filmare, una sorta d’introduzione
alla struttura normativa di ogni pratica. Nella meta invece l’azione è
completamente indeterminata e basata sulle caratteristiche del luogo. Può
accadere di tutto, un happening, un concerto, una partita, una chiacchierata o tutto
questo assieme. Durante il percorso le diverse pratiche si sovrappongono fra
loro e si disattivano reciprocamente provocando il performativo. Di fatto non si fa né una processione né una partita
a frisbee né una documentazione della performance. Accade il performativo che non è la performance e
neanche la performing art. É un lavoro basato sul rapporto tra differenti campi normativi e sulla loro reciproca
dis-attivazione.
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Still Métron |
di avere davanti a te a Jean Paul Sartre (o qualche altro pensatore se
preferisci), spiegagli di cosa ti occupi.
che attualmente sto trovando interessante lavorare attorno alla definizione che
Giorgio Agamben propone della Klēsis
messianica paolina; essenza della vocazione messianica (Klēsis) è la modalità
del come
non «piangenti come non piangenti» che non va intesa,
scrive Agamben, con «piangenti come ridenti», ovvero la vocazione non
va né verso un altrove né si esaurisce nell’indifferenza di due opposti. É in
qualche modo ciò che accade nelle tre pratiche di GTCOT, che proprio nella loro
disattivazione sono attivate divenendo così performative piuttosto che
performanti. In un certo senso l’Hōs me (il come
non) paolino è la modalità del restare nell’atto, non una funzionalità
dell’atto, non un muovervi verso, ma un modo di restare, una trasformazione che
non implica l’abbandono di qualcosa o di qualcuno, bensì un movimento che è una
permanenza. É in questo contesto che si ha l’attivazione dell’atto mediante la
sua disattivazione. Nessun processionante smette di essere processionante, come
nessun giocatore smette di essere giocatore. Tuttavia sia l’uno che l’altro
stanno nella pratica in una modalità performativa, ovvero la compiono in una
sospensione. É su questa concezione del performativo, coniugata al pensiero
delle pratiche di Carlo Sini, che
tratta il concetto di pratica come intreccio complesso di scritture, che sto
articolando l’attuale percorso di ricerca.
possiamo vederti all’opera?
su aboutobjetpetita.tumblr.com, e ovviamente sui miei canali Vimeo e Youtube.
Proprio di recente ho caricato il teaser di Métron, performance realizzata il
10 Maggio con Paolo Pãx Calzavara presso la A+B Gallery, a Brescia. Si tratta
del mio/nostro ultimissimo progetto.
futuri?
of Tree”. In questi giorni sto ricevendo i materiali documentati dai
partecipanti alle performance. Ho intenzione di fare un video sul performativo basandomi su alcune
categorie concettuali sulle quali ho elaborato la performance: durata,
inquadratura, meta, etc…
collaborazione con gli artisti Francesco Fonassi e Tonylight, per il Musical
Zoo Festival presso il Castello di Brescia. L’azione è stata commissionata da
due importanti realtà legate all’arte contemporanea, il Linkartcenter e la A+B.
Vi consiglio di cercarle sul web. Stanno facendo, in modi differenti ma con il
medesimo spirito e passione, un lavoro molto importante sia sotto il profilo
della ricerca artistica che su
quello della diffusione del lavoro di giovani artisti. Ci sono poi alcune collaborazioni con
il teatro e con la danza e un nuovo lavoro in solo sul quale per il momento
terrò il segreto.
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Foto di Alessandro Ligato |
Interessante studio quello di Fabrizio Saiu: curioso, intricato eppure una volta compreso risulta essere perfettamente logico e lineare. Il suo è un percorso a tappe, intese come graduali evoluzioni e scomposizioni del suono in completa fusione con lo spazio circostante. Bravo!
Intervista a Umberto Palazzo. Il Rock italiano non interessa più a nessuno
Umberto Palazzo ho iniziato a seguirlo ai tempi dei Santo Niente col Consorzio Produttori indipendenti, quando mi passò tra le mani un grande disco: La vita è facile del 1995, uno di quegli album che con successo passò di mano in mano al liceo. Qualche tempo fa, dopo aver letto un’intervista anti s.i.a.e molto interessante sulla rivista a fumetti Mamma!*, l’ho contattato per un’intervista. Come dice Umberto i Santo Niente “sono più vivi che mai”, l’ultimo loro lavoro risale al 2013 e si chiama “Mare Tranquillitatis”.
Per prima cosa ti andrebbe di fare una playlist da ascoltare mentre si legge quest’intervista?
Sleaford Mods: A Little Ditty
Mac DeMarco: Salad Days
Real Estate: Talking Backwards
Neneh Cherry: Out Of The Black
Fennesz: Becs
Wovenhand: Masonic Youth
Swans: A Little God In My Hands
Per ascoltarla premi PLAY
Hai fondato i Massimo Volume all’ inizio degli anni 90’ per poi suonare con il Santo Niente e El Santo Nada. Guardando indietro come vedi te stesso 15 anni fa e cosa è cambiato, se è lo è, nel tuo modo di fare musica?

Umberto è di certo uno di quelli che tirano dritti per la loro strada crescendo e sperimentando nuove e varie strade musicali: disk jokey, direttore artistico del club Wake Up e ovviamente abilissimo cantautore. Evoluzione integra, senza svendite d’occasione la sua, in un percorso indubbiamente atipico e sempre interessante.
Potrete vedere Il Santo Niente al Festival Strade Musicali, al Campus Universitario di Chieti il 13 Giugno. Per maggiori informazioni vi rimando alla pagina Facebook de Il santo niente.
* Mamma! Se ci leggi è giornalismo, se ci quereli è satira, Anno IV Numero 2/2012
Intervista, Chef Rubio e la musica. Vorrei sfidare Ozzy Osbourne

maestro di musica che infrena e sprona la grande orchestra delle grandi
passioni; lo stomaco vuoto suona il fagotto del livore e il flauto
dell’invidia; lo stomaco pieno batte il sistro del piacere e il tamburo della
gioia”. Gioachino Rossini
di Unti e Bisunti su Dmax. Questo programma è molto diverso dagli altri che si
occupano di cucina perché Gabriele
Rubini, classe 83’, in arte Chef
Rubio, si gira l’Italia in cerca di succulenti e ipercalorici piatti della
nostra tradizione, sfidando abili cuochi di strada. Essendo appassionata di musica mi son quindi domandata se,
quando le circostanze lo permettono, anche sto’ simpatico Chef cucini a suon di
musica. Senza troppi ostacoli ho parlato con la sua manager che mi ha fissato un’intervista
telefonica, così questo pomeriggio ci ho fatto una bella chiacchierata.
Vorrei chiederti innanzitutto se ti piace ascoltare musica quando cucini e se
hai un genere preferito.
servizio vai di corsa e il silenzio è sacro, però durante la preparazione la
musica è d’aiuto per staccare e concentrarsi. Non c’è una band particolare che
m’aiuta però di sicuro i Sigur Ros mi estraneano, anche se spesso ho bisogno di qualcosa di un po’ più attivo, insomma dipende
dalla giornata e dall’umore, ascolto anche qualcosa di italiano come Il muro del canto.
scontarti con musiche tradizionali delle zone in cui hai vissuto e sei
stato. Ti capita mai di associare un
determinato piatto che hai scoperto in viaggio a un brano musicale?
sono in viaggio, gli unici momenti in cui ho tempo per farlo sono in aereo o nei
luoghi d’attesa. Quando sto’ in una città mi piace parlare con le persone, non estraniarmi,
si, preferisco parlare. Ascolto musica solo in fase di partenza e in fase d’arrivo.
Oppure in un locale capita spesso di conoscere qualche band e me l’appunto, così facendo ti puoi fare anche una bella cultura musicale! La musica è fondamentale
per dare un’anima a ciò che stai mangiando.
armonie culinarie?
solitamente dove mi metti sto’, ora non ho una casa sennò ti direi quella, però
la dimensione ideale per cucinare è quella casalinga con i miei amici. Non sono
un fissato o un nostalgico mi adatto facilmente.
quali artisti vorresti incontrare e in quale città del mondo ambienteresti la tua
sfida finale?
passerei una serata con i Nirvana, a Seattle. Citare una sola band comunque mi sa di dispetto alle altre.
Però dai, una giornata coi Nirvana me la passerei volentieri, altri gruppi che
tanto mi piacciono sarebbero forse meno indicati a una serata del genere,
probabilmente se scegliessi i Sex
Pistols non arriverei a fine programma.. poi vorrei sfidare Ozzy Osbourne, con lui sarebbe
divertente di sicuro!
oggi una sorta di Street music versus Fast music?
diventando franchising tipo il fast food, comunque, le piccole band sentono
indubbiamente l’influenza delle major nel mentre che creano la propria
identità; però rispetto al cibo, in musica è ancora un po’ più libera la cosa.
I gruppi possono esprimersi in maniera indipendente, anche se, solitamente,
subiscono un’involuzione e pian piano si uniformano al gusto diventando
franchising. È raro che una band rimanga autentica, per farlo non deve seguire
i gusti della gente e quando lo fa diventa Grande.
sportivo e poi un cuoco. Quanto era diversa la vita quando eri un atleta a
tempo pieno?
facevo tanto esercizio fisico. Sicuramente la mia vita prima era più
spensierata, erano pochi gli obblighi mentali: dovevi dare il massimo agli
allenamenti e alla partita, anche se da altri punti di vista avevo sempre orari
da rispettare e spesso non potevo fare serata, andare a concerti e viaggiare.
Comunque prima la vita era rigorosa ma più semplice.
sarebbe?
erano delle Patatine fritte, Poutin, in cui sopra ci si mette formaggio e una
salsa bruna, era una bomba de Junkfood allo stato puro, se fosse una canzone direi
boiled frogs degli Alexisonfire, una band di una città vicino a
Toronto.
questa domanda proprio non posso rispondere.
Sigur Ros, Alexisonfire, The Street,
però ecco ieri e oggi ho sentito Le luci
della centrale Elettrica e il Muro del Canto.
centrale elettrica per la presentazione di Costellazioni.
importanti, e in quel concerto hanno spaccato di brutto!
avuto il tempo, anche se mi sarebbe piaciuto ma mi son buttato sullo sport.
nun se possono fa du cose.
tipo vai in giro per locali a vedere qualche band oppure per staccare ti prepari
qualche piatto “leggero”?
non ho tempo manco per me stesso. Te rispondo fra n’anno e mezzo.
dipendono solo da me.
però altri ancora non ti conoscono, sei sicuramente destinato a diventare un
personaggio famoso..
impazzisco
mondo, m’hanno tartassato, tipo si fanno gli screenshot sulle risposte
provocatorie, la gente sta male.
insultano le persone usando il mio nome, se non ci metti un po’ d’ attenzione..
menefreghista sarebbe facilissimo, però son troppo disponibile e questa è un’arma
a doppio taglio che spesso mi si ritorce contro, però questa è la realtà. Poi
non so che andazzo prenderà la cosa.
io, faccio qualsiasi cosa ma solo se lo voglio fare; non mi faccio plasmare da
nessuno, soprattutto da chi mi dice cosa fare della mia vita. In Tv Nun se sò inventati
niente. Il problema potrebbe essere il non avere uno schermo, però non posso
fare altrimenti, la mia ingenuità si sta affinando con l’esperienza.
di concreto al momento. Sicuramente spero in un po’ di riposo.
romanesco.. te ne dico solo 2, quella che non ti dedico è: “te possino bacià
freddo”, mentre quella che più ti si addice è “andò se magna Viva la Spagna!”
che significhi dove si mangia si fa festa come in Spagna, visto che là stanno
sempre a festeggià.
ragazzo molto disponibile, intelligente e autentico. È stato semplice parlare
di musica con lui, anzi m’ha dato pure qualche dritta! Lo trovate su Dmax (canale 52 del digitale terrestre) con il programma Unti e bisunti. Se vi siete persi le puntate
precedenti, don’t worry, le trovate tutte sul sito di Dmax.
Leggi anche Chef Rubio scrive un articolo sulla musica romana
Intervista: Pussy Stomp e l’ep Superslut
Skip Roberta e Buddy Chu Vanvera- di quelli che “preferiamo fare saletta più
che salotto” e finalmente l’altro ieri mi è arrivato un sms:
un posto, ci stai?”, ovviamente ho risposto si.
sono stata rapita. La destinazione era nei pressi di Sanluri Stato una frazione
di una frazione di un non-paesello in cui c’è solo un bar: San Michele.
Location ideale, se non fosse per quel freddo polare, per bersi una birra in
compagnia. Ho messo su il registratore e abbiamo chiacchierato di lavoro,
lavatrici, strumenti musicali, Goonies ma soprattutto del loro primo Ep “Superslut” in uscita..
disco lo vorrei autografato!
cassetta!
audiocassette in macchina, me lo ascolterò a manetta!
ritrovato il mio walkman e tutt’ora ascolto musicassette, quindi quando ci è
stata avanzata la proposta di registrare
su questo supporto abbiamo accettato alla grande! L’etichetta in questione è On two sides di Andrea Tramonte che ci
ha proposto di pubblicare un Ep con 4 brani.
disponibile un download gratuito per
chi acquisterà il nastro ma non avrà la possibilità di ascoltarlo direttamente.
Abbiamo colto la proposta della Ontwosides e pubblicheremo così l’Ep registrato allo
Sleepwalkers Recording Studio di Gabriele Boi, al quale è seguito il mix che è
stato fatto a Ferrara, all’NHQ di Max Stirner.
nasce da una canzone dei Pussy Galore,
gruppo pre-Blues Explosion di Jon Spencer, moglie e compagnia
cantante, che ci fa particolarmente ridere e ha un bel suono, poi ci piace
l’idea di stomp inteso come stomping blues.
V: I brani son venuti su con molta spontaneità: ognuno porta il suo e la ricetta è pressoché pronta.
PussyStomp? Innanzi tutto siete in due..
basso e voce più la drum machine. In realtà il progetto è nato proprio
dall’acquisto di questo aggeggio con il
quale ci siamo messi subito a giocare e che abbiamo trovato molto creativo,
inoltre è meno “stressante” di un vero batterista: meno rotture, zero battute
fredde e patemi d’animo, zero pacchi o ritardi e una precisione metronomica!
machine?
abbiamo avuto il dubbio se fosse il caso o meno di avere un batterista in carne
e ossa
qualcuno ci dice che se ne avverte la mancanza, forse a livello visivo. Però
non vogliamo accettare questo compromesso. Diversi gruppi celebri come i Soft
Cell e i Suicide o i più recenti Kills, che usavano la drum machine, avrebbero
perso una peculiarità del loro sound se avessero ripiegato su un drummer vero.
Sono scelte artistiche e lo dice uno che ha iniziato proprio come batterista.
suono che tirate fuori, in alcuni pezzi-forse non lo sapete-, alla drum machine
avete Phil Collins in stile Genesis anni 80’, il suono che vien fuori non è utilizzato da 30 anni, voi invece..
batteria spiccatamente elettronica, magari un po’ vintage. Insomma anche se non c’è un batterista in
carne e ossa, abbiamo riesumato la semplicità dei tempi tipica di quel decennio
e quindi vai cassa e vai di rullante, non siam qui a fare ambient.
una DR-880 Roland,usata anche dai Big Black di Steve Albini. Fa il suo
lavoro, si presenta sempre alle prove, non perde le bacchette strada facendo
ecc..
vivete assieme quindi immagino sia
stato interessante non dover dipendere da una terza persona.
progetto casalingo, senza volerci speculare su. Poi ci siamo resi conto che la
cosa ci piaceva quindi perché non farla uscire dalle mura domestiche?
moltissimo i vostri video…
e molto ironici.
trovare quello di Vampire inquietante, invece, come la canzone stessa, è carico
di ironia. Il testo parla di
personaggi poco raccomandabili, i classici dell’horror per intenderci, e a
nostro modo li abbiamo trasposti sul video in una veste volutamente goffa.
invece?
Slot (un personaggio del film Goonies ). Giocando col suo nome siamo arrivati a
Superslut (vedi: super sgualdrina), ci piaceva il doppio senso e il suono nel
refrain e l’abbiamo tenuto! Abbiamo anche scoperto tanti insospettabili fanatici
dei Goonies..
stato fatto in casa con un proiettore che ci ha permesso di proiettare le luci e
il logo. Qui c’è stato più lavoro sui “costumi” e una maggiore attenzione in
fase di post produzione. Laddove per post produzione intendo combattere con
Windows Movie Maker su un computer che non disdegna il piantarsi!

musica, oltre le 4 tracce presenti sull’ EP avete già del materiale pronto per il disco o ci state ancora lavorando?
bozze, home recordings, vorremmo registrarle in estate per far uscire il disco
in autunno.
scritto con un disco di 10 tracce, che
speriamo di poter pubblicare in vinile, anche se il progetto è più costoso dal
punto di vista finanziario rispetto alla cassetta o al CD. Ma è il sogno di una
vita dopotutto: perché smettere di inseguirlo?
cambiato il ruolo dell’artista rispetto a prima?
richiesto un ruolo multi tasking un po’
in tutti i settori tipico di questa società di m…oderne vedute. quindi devi
saperti gestire su più fronti: qualità e scelta dei suoni, booking , estetica. Il
formato dei talent oggi crea un prodotto pronto da scongelare, e questo vizia
gli occhi e le orecchie degli ascoltatori..
fa potevano salire sul palco i Suicide,
proporre la loro musica, prendersi qualche sediata e
ma venire comunque ascoltati e ricordati. Forse prima c’era un orecchio diverso..
c’era più coraggio. Ora più che mai la musica è sinonimo di commercio, forse
prima c’era più libertà, oggi devi fare tutto da te, senza escludere anche un’eventuale autoproduzione. E non è
manco detto che i dischi li si venda!
parliamo di autoproduzione, il merchandising della band dei Pussystomp potrebbe essere prodotto da R. visto che è una maga del cucito..
qualche maglietta con grafiche create in casa. Avremo anche delle Pussy Bags, borse in cotone cucite a
mano. Tornando al discorso del commercio, è molto bello poter avere qualcuno
che invece si occupi di booking e ufficio stampa.
meglio qualcuno che si appassioni a questa attività con una particolare
inclinazione al lato organizzativo e burocratico. Per fortuna ci son tanti
ragazzi con questa propensione!
comunque di grande aiuto una persona esterna/interna al gruppo che si occupi
solo della parte promozionale, anche se l’etichetta ha fortunatamente qualche
collaboratore in questo senso.
saremo a Sassari, al Dehor, mentre la cassetta uscirà non prima della fine del
mese prossimo.
contattarvi?
presenti solo su youtube; in seguito alla
pubblicazione dell’ep apriremo,
probabilmente una pagina Facebook e una su Soundcloud. Comunque ci trovate
sempre su youtube. Potete contattarci là.
dall’ambiente social network è forse sui generis, con i tempi che corrono. La
nostra assenza non nasce per questioni di snobismo ma più che altro perché siamo
nati come un progetto casalingo e non c’è stata immediata necessità della
dimensione social; in fondo la vita reale è fatta di asfalto e di chilometri da
fare ed è bello che sia la vita vera ad affacciarsi in una vetrina virtuale e
non il contrario. A noi come a tutti i
musicisti, interessa suonare, fare concerti, parlare con il pubblico, sentirne
opinioni e consigli. Meglio avere un po’
di sostanza da promuovere, prima di lanciarsi su internet, a costo di fare
concerti anche dove non ti caga nessuno o dove magari non vendi un disco.
dimensione social pare arrivare prima della sostanza di cui è composto un
gruppo
quando avremo qualcosa di concreto tra le mani useremo tutti gli strumenti che
internet ci offre, per ora preferiamo fare saletta piuttosto che salotto.
una band che macina km di asfalto e suda ancora in saletta; i Pussy Stomp son
persone che ascoltano musicassette non perché fa figo ma semplicemente perché
l’hanno sempre fatto; nel loro “Credo” la musica viene prima di tutto: social
network, promozione e quant’altro sono cose secondarie, loro hanno i
piedi saldi alla terra e la testa tra le nuvole.
Leggi anche Roberta, alluminio mon amour
Vinylmania quando la vita corre a 33 giri al minuto, Intervista al regista Paolo Campana.

Questo documentario è davvero interessante, ogni storia è un microcosmo eppure tutti i personaggi sono legati dall’affascinante suono dei microsolchi del vinile, insomma per farla breve Vinylmania, come sottolinea Guido Andruetto “è un viaggio ipnotico ai limiti dell’ossessione”.
Vi allego uno stralcio dell’intervista con intermezzi musicali, mi tengo una parte nel cassetto, sperando di poterla trasmettere in radio un giorno di questi.