Quand’ero piccina avevo una cassetta di musica classica per chitarra con brani di Bach, Chopin e qualcun’altro che ascoltavo sempre. Questo genere mi ha sempre fatto sognare perchè è passionale e lo è allo stato puro, la comunicazione è affidata alle orchestre, a un’insieme di strumenti che interpretano emozioni altrui stese con le regole matematiche del pentagramma. Come se la matematica fosse una materia letteraria e la musica una scienza, che poesia e che verità! Comunque, pur non capendo come è regolamentata la classica con quei nomi strani che sembrano codici di un catalogo tipo “Bach BWV 147” (quanto sono ignorante!!!), io la classica la ascolto da sempre. Il mio prof di storia del ginnasio, Prof. Rosas, chitarrista in un quartetto barocco, mi registrò le prime cassette di Scarlatti e poi, non so perchè, i vinili di musica classica costano sempre pochissimo.
Da vero giramondo Pietro Domenico visse negli anni ’30 a Lucca e Venezia per trasferirsi nel 1746 a Londra, città in cui visse a lungo lavorando come insegnante di canto. Seppur considerato un autore minore, all’epoca il Paradisi godeva di una discreta fama; compose le opere teatrali Alessandro in Persia per Lucca (1738), Decreto del Fato (1739), Fetonte (Londra 1747), la cantata Le Muse in gara (Venezia 1738) ed un Concerto per organo o cembalo di data incerta. Tra le sue opere più importanti vi sono le 12 sonate per Clavicembalo che gli valsero un privilegio reale del 28 novembre 1754, cosa piuttosto rara in Inghilterra, che in un certo senso ne tutelava il diritto d’autore. Le 12 sonate si dividono in 2 stili, uno più arcaico, vicino al contrappunto di Durante e l’altro più moderno affine ai contemporanei cembalisti veneziani come Galuppi, Alberti e al gigante Domenico Scarlatti. Le sue sonate, assieme a quelle di Bach e Rutini sono menzionate come maggiore influenza del giovane Mozart.